HotelmyPassion incontra l’amministratore delegato di Planetaria Hotels: undici hotel di alto livello,
ognuno con il proprio stile. Tutti pensati per far sentire ogni ospite a casa e regalargli emozioni.
Una catena alberghiera senza formalità, ma con il plus del lusso più grande: l’empatia.
“Be as you are” è il claim che racchiude la filosofia di questa ospitalità
È uno dei volti noti del settore alberghiero italiano, è milanese da generazioni ma ha nel suo dna il calore umano e il senso dell’ospitalità tipici delle zone del Sud Italia: quella carezza in più che sa rendere indimenticabile un soggiorno. È Sofia Gioia Vedani, architetto e amministratore delegato di Planetaria Hotels, che oggi conta undici strutture tra Milano, Genova, Firenze, Roma e Trezzo sull’Adda. Una collezione, quella del brand, capace di tenere insieme boutique hotel e urban châteaux, lusso e storicità. Nel segno dell’informalità di prestigio e dell’emozione. Per soggiorni da favola.
HMYP: Qual è la sua idea di ospitalità?
S.G.V.: Sono una persona curiosa. E curiosità significa aprire la porta ad altre culture, lasciar entrare nella propria vita punti di vista diversi. È questa spinta ad avermi portato a fare questo lavoro: amo accogliere e mettere a proprio agio le persone. Studiando modi, ambienti e suggestioni sempre nuovi per regalare comfort, e costruendo intorno a queste idee gli alberghi di Planetaria Hotels. Strutture che sono aperte alla città, per offrire occasioni di incontro.
HMYP: Come si rende tangibile questa intenzione?
S.G.V.: Quando devo progettare – o riprogettare – un albergo non sto in studio, ma nella hall dell’albergo, a osservare i movimenti degli ospiti, le loro necessità e l’ergonomia degli spazi. E poi do risposte a quei gesti del quotidiano che una casa temporanea deve soddisfare. Perché questo è un albergo: una seconda casa, molto più che un luogo di imposizione di canoni estetici e simmetrie. E in questo il personale ha un ruolo fondamentale.
HMYP: Che cosa chiede a un suo collaboratore?
S.G.V.: Deve condividere la proiezione verso l’altro, quell’empatia che fa comprendere i bisogni dell’ospite ancor prima che li manifesti, o che sappia di averli. La chiave è l’armonia: di modi, colori, forme, abiti e atteggiamenti. L’ospite deve sentirsi a casa. È per questo che abbiamo sempre evitato standard e manuali, quelli che girano nelle grandi compagnie globali. Ovviamente ce lo possiamo permettere perché visitiamo periodicamente tutte le strutture e siamo molto presenti, in maniera molto snella: io stessa spesso comunico in videochiamata o via Whatsapp.
HMYP: Come si insegna al personale questo modo di accogliere?
S.G.V.: È un processo osmotico più che un processo di formazione. Con i miei direttori e i miei collaboratori abbiamo uno “streaming di contenuti” continuo, per così dire. Una condivisione delle idee, una connessione profonda che viene prima di qualsiasi obiettivo da raggiungere. Per le riunioni preferisco andare a prendere un caffè insieme, fare un giro per negozi, organizzare un’uscita, piuttosto che trovarsi in ufficio. Quando si crea un ambiente del genere, non c’è bisogno di spiegare niente. Questo rende un po’ più difficili i nuovi ingressi in squadra, perché è necessario un processo di assimilazione diverso da una formazione tradizionale.
HMYP: Cosa distingue Planetaria Hotels dagli altri brand?
S.G.V.: L’esperienza che accomuna i viaggiatori è quella di essere lontani da casa, di aver vissuto il disagio del viaggio, di essere più vulnerabili ma anche più facilmente permeabili al bello. E l’hotel è un contenitore di esperienze nuove, incontri nuovi, gesti nuovi, che predispongono a comportarsi più liberamente: a vestirsi in modo strano, a innamorarsi, a ubriacarsi, a scendere in pantofole nella hall. Alle richieste del cliente, per noi, non esistono i “no”. C’è sempre un “aspetti, mi informo, vediamo se è possibile”. Se l’ospite mi chiede di portare un elefante in albergo, prima di dire no, mi chiedo da dove potrei farlo passare.
HMYP: Quindi i desideri del cliente sono al centro. E poi?
S.G.V.: Secondo me è fondamentale che il contenitore non metta in soggezione, non sia ieratico o monumentale, non faccia sentire piccoli. Ecco, i nostri hotel vengono amati perché non sovrastano, sono intimi e fanno sentire tutti a proprio agio, anche se sono belli o appena aperti. Ma non c’è l’ostentazione, non c’è la divisa austera, non c’è il comportamento distaccato e automatizzato del personale in coreana nera. Non c’è, insomma, lo snobismo di molti cinque stelle lusso. È su questo principio che ho disegnato Château Monfort, hotel in cui ciascuno può vivere la propria fiaba, in un contesto in cui si è trattati da principi e da principesse. E poi c’è l’elemento sociale.
HMYP: Cioè?
S.G.V.: Gli alberghi hanno sempre più bisogno di luoghi comuni e spazi per il co-working, perché le persone non vivono l’albergo come una volta, quando bastava una bella camera e il cliente ci si chiudeva dentro anche per mangiare. Oggi le persone vogliono esperienze, emozioni da condividere. È per questo che cerco sempre di mettere a disposizione spazi di comfort importanti, che vadano ben oltre il classico divanetto. Nelle parti comuni dei nostri hotel, che sono sempre molto ampie, alte e ariose, ognuno deve poter trovare il suo luogo per scrivere, leggere, osservare. È difficile che nei nostri alberghi il cliente si chiuda in camera.
HMYP: Quali altri trend osserva?
S.G.V.: Vivere l’albergo significa renderlo adatto all’incontro. Emergono tanti modi nuovi di mangiare, unirsi, lavorare, che hanno reso tutto molto più fluido e flessibile. E più anche piacevole, con meno etichette, meno formalità, meno tovaglie, meno orari. Già da prima che andasse di moda il co-working, avevamo inserito nelle lobby dei grandi tavoli, che per noi italiani sono il centro di tutte le nostre relazioni personali. Sono i luoghi del caffè preso insieme in cucina, quelli che tolgono distanza tra le persone.
HMYP: Qual è l’elemento unificante di tutte le undici strutture del brand?
S.G.V.: Tengo molto al nostro motto, che è “Be as you are”, scelto in tempi non sospetti. Ho pensato a questo payoff proprio con l’idea di mettere a disposizione dei luoghi dove liberarsi dalle maschere e sentirsi finalmente sé stessi. Sono felice di avere intuito già tanto tempo fa la necessità di non ingabbiare le persone.
HMYP: Nel vostro portfolio, ad oggi, il grande assente è il Sud. Come mai?
S.G.V.: Amo molto il nostro Mezzogiorno, e sono una milanese spesso scambiata – per carattere e comportamenti -per napoletana, quando non per brasiliana. Abbiamo avuto trattative su destinazioni come la Costiera Amalfitana, Ischia, Capri, Taormina… Purtroppo non siamo riusciti a chiuderle, per diversi ordini di motivi. Oggi abbiamo sul tavolo operazioni che riguardano mare, montagna, laghi e isole, anche all’estero. L’elemento unificante è questo: Planetaria Hotels andrà in una direzione leisure. Dove per leisure intendo anche quello cittadino, come già accade a Château Monfort, a Hotel Ville sull’Arno e al Leon’s Place di Roma. E dico leisure, e non bleisure, perché questo termine non mi è mai piaciuto.
HMYP: Poi, se proprio si vuole lavorare, il tavolo c’è!
S.G.V.: Esatto. L’occasione di viaggio è molteplice. Le prossime strutture saranno sempre di livello, ma non cinque stelle lusso, lo escludo. È una formula che non mi piace, a pelle: è troppo costruita e con troppa ostentazione. E le dirò: molte persone che frequentavano i 5 stelle lusso, adesso vengono da noi. Per rilassarsi davvero. Ed essere sé stessi.
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